Di Grazia Garlando
“La vita è un viaggio da fare a piedi” sosteneva lo scrittore britannico appassionato viaggiatore, Bruce Chatwin. E così, in questa tarda estate da vivere fino all’ultimo a tutta natura, ho deciso di prenderlo in parola. Mettendomi letteralmente in cammino su quella via Francigena battuta fin dall’alto Medioevo dai pellegrini europei per raggiungere Roma, cuore della cristianità. Il tragitto completo, effettuato nell’anno 990 in settantanove giorni dall’Arcivescovo Sigerico dopo la sacra investitura, si snoda da Roma a Canterbury, per 1800 chilometri. Io ne ho percorso un tratto nel cuore verde del Piemonte, su quella cosiddetta via Francigena Morenico-Canavesana (il Canavese è l’area regionale compresa tra Torino e la Val d’Aosta) che attraversa tredici comuni tra Torino e Biella per 55 chilometri, compresa Ivrea, il capoluogo del Canavese, situata a metà del cammino.
Poiché alloggio proprio lì decido di visitare subito questa graziosa cittadina collinare bagnata dalla Dora Baltea, sorta in epoca romana come accampamento militare difensivo, di cui il centro storico conserva ancora la struttura urbanistica con cardo e decumano, l’attuale via Palestro cuore del passeggio e dello shopping. Qui, nella parte bassa dove durante il carnevale imperversa la tradizionale Battaglia delle Arance – in cui le squadre a piedi del popolo combattono con quelle sui carri dei tiranni, in un vero e proprio rito liberatorio che alla fine trasforma tutto ciò che è rimasto a terra in concime per i campi – il Museo Civico Pier Alessandro Garda racconta la storia di quella che era l’antica Eporedia (tuttora gli abitanti si chiamano “eporediesi”), lasciando spazio anche a una singolare collezione privata di antiche e preziose lacche giapponesi dell’avventuroso viaggiatore ottocentesco. A pochi passi mi imbatto nel piccolo Teatro Giuseppe Giacosa, gioiellino ottocentesco dedicato all’autore di celebri libretti d’opera pucciniani riccamente decorato con stucchi, boiserie, dorature, velluti e affreschi, e poi nella piazza del Municipio, il cuore cittadino, fronteggiata da un antico campanile romanico inglobato nella facciata di una chiesa postuma adiacente.
E’ proprio da qui che, invece di proseguire dritto fino al ponte romano sulla Dora, inizio a salire verso la parte alta della città, quella degli antichi poteri, dove infatti, costeggiando i resti del Teatro Romano del 1° sec d.C. che occupava interamente l’attuale piazza del Municipio, e dove le case seguono la struttura circolare delle antichissime gradinate ancora presenti nelle loro cantine, trovo il Duomo romanico con i campanili d’epoca perfettamente conservati (sorto sulle fondamenta di un tempio dedicato a Giove), affiancato al Castello costruito dai Savoia con le torri appositamente più alte in segno di affermazione della loro superiorità rispetto a quella vescovile. Vorrei allungarmi fino al “Complesso Olivetti”, nei pressi della stazione ferroviaria, ex area in cui sorgevano le strutture della celebre azienda cittadina diventata da due anni Patrimonio Unesco, ma i numerosi cartelli disseminati ovunque a indicare la via Francigena mi ricordano che è ormai tempo di vestire i panni di novella pellegrina e imboccare il cammino.
Volendo partire proprio dall’inizio esatto del percorso raggiungo con un mezzo il borgo valdostano di Pont St. Martin, il cui monumentale ponte romano del 1° sec. a.C. sul torrente Lys rappresenta il vero punto di avvio e conserva ancora i lastroni di pietra dell’antico selciato battuto nei secoli, oltre che dai devoti religiosi, anche da eserciti, mercanti e uomini di cultura, consentendo scambi e relazioni internazionali attraverso il pagamento dei dazi nella casa gialla ancora presente. Lì, la statua della Madonna della Guardia indica il santuario in cui viveva Martino, l’eremita che secondo una leggenda locale aggirò abilmente un patto con il diavolo dando nome al ponte. Ed ecco che la via Francigena canavesana prende il via in un’esplosione di natura in cui si rincorrono prati, sentieri boschivi e pareti rocciose, gelsi e vitigni, fichi d’india e fiori selvatici, torrenti e cascatelle, castelli nobiliari, chiesette millenarie e ruderi di dimore abitate fino a metà novecento, prima che l’avvento industriale spingesse gli abitanti verso la città.
Sgranocchiando biscottini eporediesi – dolcetti tipici di nocciole, mandorle e cacao – e degustando vini locali nei caratteristici “balmetti” di Borgofranco d’Ivrea – cantine naturali scavate nella roccia in cui si conservano vini e formaggi grazie a correnti d’aria naturali che forniscono adeguate temperature – mi imbatto in gioielli millenari come la pieve medievale affrescata di San Lorenzo a Settimo Vittone, la chiesa romanica dei SS. Pietro e Paolo a Bollengo a cui si accede curiosamente attraverso il campanile e quella minuscola del Gesiun in quel di Piverone, dove si staglia anche l’imponente torre duecentesca che era l’antica porta d’ingresso al borgo medievale (c’è anche un modernissimo monumento alla gallina in nome di un evento folcloristico autunnale che la vede protagonista).
E incontro l’area naturalistica del Parco dei 5 laghi nel grande anfiteatro morenico naturale, originatosi dal ritiro del ghiacciaio preistorico Balteo attorniato da villaggi neolitici su palafitte: peccato non potermi rinfrescare, visto che, ad eccezione di uno solo, non sono balneabili. Mi consolo saltellando sulle Terre ballerine, una torbiera in cui il terreno incredibilmente elastico grazie a un accumulo d’acqua nel sottosuolo consente di rimbalzare come su un materasso, insieme alle piante circostanti. Confesso: non percorro tutti i 55 chilometri. Ma ovunque vada, respiro a fondo un’appagante aria di immensità.
Il delizioso e centralissimo B&B Spazio Bianco – Camere con cultura di Ivrea, con le sue invitanti colazioni dolci e salate, è perfetto per accogliervi dopo una giornata di cammino. Durante la quale fermatevi sul percorso a degustare la cucina tipica piemontese al Vecchio cipresso di Chiaverano e quella biologica dell’agriturismo Cascina Gaio di
Piverone, e se volete pranzare sprofondati nella natura è perfetto il Vertical Rock nel parco avventura di Montestrutto. Senza tralasciare una degustazione di vino e formaggi locali di produzione propria alla lussuosa azienda agricola Cella Grande di Viverone, con camere e bio-spa. Le eccellenze enogastronomiche territoriali si possono invece acquistare alla Bottega del viandante di Settimo Vittone, fornitissima di tutta la migliore offerta del territorio che rende l’esperienza davvero completa.
Tutte le info su Associazione La Via Francigena di Sigerico, che informa e supporta i pellegrini anche accompagnandoli nel cammino.