Gallura, dove mare e terra abbracciano la tradizione

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di Grazia Garlando

Il mare, certo. Un mare che cambia continuamente le sue sfumature in un gioco di tonalità e trasparenze che lascia a bocca aperta. Ma anche i borghi antichissimi e i siti archeologici, i sentieri odorosi di erbe spontanee colorati dalle rocce granitiche rosse, le torri difensive e le chiese campestri, i nuraghi e gli stazzi (antiche dimore rurali con animali, vigne e orti in cui si produceva tutto), le tradizioni vivissime e la cucina golosa. Ho incontrato la Gallura, in tutti i suoi aspetti e i suoi risvolti. E l’ho trovata spettacolare.
Siamo nella parte più settentrionale della Sardegna, quella che si affaccia su quel tratto di mare noto come Bocche di Bonifacio che la separa dalla Corsica, rendendo le rispettive cittadine di Santa Teresa di Gallura e Bonifacio reciprocamente visibili nelle giornate limpide. E infatti il mio girovagare non può che cominciare nell’atmosfera allegra di Santa Teresa, la località balneare più celebre della zona affollata di piccole case dipinte a colori vivacissimi, negozi e locali che si susseguono nei vicoli scendendo giù al mare fino alla spiaggia sabbiosa Rena Bianca, l’unica in pieno paese e quindi raggiungibile a piedi.

Salgo fino alla Torre di Longonsardo, il simbolo della città, eretto a fine Cinquecento a scopo difensivo contro l’attacco di pirati e contrabbandieri, che sembra ancora lì pronta a proteggerla, con le sue tre stanze interne in cui alloggiava un solo soldato e dove rimangono la colonna di granito e la cisterna per la raccolta dell’acqua piovana, oltre alla terrazza panoramica che ora ospita eventi estivi come degustazioni di vini locali in musica, rassegne letterarie, concerti, riti matrimoniali civili e cene private.
La Torre di LongonsardoIl faro di Capo Testa
E’ da lì che la vista spazia sull’Area Marina Protetta, con i fondali ricchi di coralli neri, reperti archeologici e una fitta varietà faunistica, compresa tra Punta Falcone, la più a nord dell’isola stagliata di fronte all’arcipelago della Maddalena, e Capo Testa con il suo grande faro, entrambi raggiungibili con percorsi naturalistici che profumano di aromi locali come mirto ed elicriso, ginepro e iperico, corbezzolo e lentischio (con cui si produce anche l’olio), tra le cosiddette “casermette” – le torrette militari di avvistamento utilizzate durante la seconda guerra mondiale e ora abbandonate – e tante calette seminascoste da “tafoni” – rocce naturali tipicamente locali scolpite dal vento e dal mare – e formazioni granitiche.
Immancabile una visita al vicino complesso nuragico di Lu Brandali, dove gli scavi hanno finora portato alla luce un villaggio di capanne circolari, una “tomba dei giganti” – tombe collettive probabilmente dedicate agli anziani del villaggio, così definiti per la saggezza dell’età – e un nuraghe che domina dall’alto di una collina, con tanto di mostra classica e interattiva per una full immersion nella vita dell’epoca con virtual tour e percorsi tattili e sonori.
E sono pronta a spostarmi verso l’area che fa capo al piccolo borgo di Trinità d’Agultu, con le splendide spiagge e cale di Costa Rossa, puntellate di sorprendenti rocce di granito rosa e rosse (a Cala Sarraina, tra le più incontaminate, a maggio cresce anche spontanea la rosa canina, che la dipinge interamente di questa tonalità) tra le quali si può anche fare trekking su itinerari agevoli che li rendono adatti a tutti (uno addirittura scavato nella montagna rocciosa), mentre nella campagna alle loro spalle rimangono ancora, disperse qua e là tra piante secolari nonostante un percorso a piedi o in bici che le unisce tutte, antichissime e solitarie chiese campestri, simbolo di una profonda devozione popolare mantenuta ancora in vita dalla tradizione: ancora oggi, infatti, come un tempo, nel giorno della ricorrenza del santo a cui sono dedicate, i più benestanti vi organizzano pranzi gratuiti per l’intera comunità, soprattutto per i bisognosi. Gli oltre quaranta km di questa costa terminano a Isola Rossa, piccola località balneare situata su un promontorio di rocce rosse, con un ampio lungomare caratterizzato dalla cinquecentesca e difensiva Torre Spagnola e affacciato su un isolotto omonimo abitato soltanto da gabbiani e cormorani.
Scendo nell’entroterra verso Aggius, caratteristico borgo di granito noto fino a metà Ottocento come il più sanguinario dell’intera isola in quanto epicentro del fenomeno diffusissimo del banditismo, dovuto soprattutto a faide familiari, contrabbando e eliminazioni degli odiati messi esattoriali: affascinantissimo il Museo del Banditismo allestito nel palazzo della vecchia pretura, ricco di foto segnaletiche, schede ed effetti personali, armi e sentenze ufficiali di condanna, oltre a una teca dedicata al Muto di Gallura, il bandito più celebre, mentre poco più in là c’è la Rampa di Li Pazi, imponente scalinata dove si cercava di mettere pace tra le parti con pranzi e funzioni religiose, quasi sempre senza successo. Ma mi accorgo che l’intero paese è comunque una sorta di sorprendente museo a cielo aperto: non solo, infatti, c’è anche il MEOC, museo etnografico che racconta usi e costumi di un passato neanche troppo remoto tra vita quotidiana, vecchi mestieri e tradizioni (e ospita anche l’esposizione permanente del tappeto di Aggius), ma compaiono anche giochi antichi di bambini impressi sul selciato, saracinesche artisticamente dipinte e moderne installazioni di telai sui muri esterni delle case in onore all’antica arte della tessitura a mano al telaio orizzontale che qui continua a vivere. E quando a bordo di una jeep dell’Associazione Tutt’a Pedi (con cui il titolare Paolo Carboni conduce i  visitatori alla scoperta dei dintorni paesaggistici in sorprendenti escursioni diurne e notturne, con aggiunta di immancabili degustazioni di tipicità territoriali) mi ritrovo a percorrere la suggestiva e circostante Valle della Luna, con le sue maestose formazioni rocciose pervase di storie e leggende e i suoi paesaggi da film western (ne sono stati girati alcuni), unisco finalmente tutti i fili che fanno della Gallura una terra davvero da scoprire. Accogliente e generosa come la sua gente, che sa far sentire sempre e inequivocabilmente i benvenuti.

L’accoglienza gallurese. Vi sentirete proprio di casa ai B&B Villa & Casa Gandamar, Le Ortensie, La Chicca di Francesca, a Santa Teresa, che offrono deliziose colazioni con dolci preparati a mano ogni giorno (memorabile la marmellata di caffè di Villa & Casa Gandamar, che non avevo mai assaggiato prima d’ora!), mentre all’Agriturismo Stazzu Coiga di Aggius, fascinoso stazzo ottocentesco in stile tradizionale immerso nella campagna profumata da mirto ed elicriso, rivivrete l’atmosfera dell’antica cultura degli stazzi, con l’aggiunta di un’ottima e genuina cucina territoriale. E a proposito di buona tavola, se amate quella di mare non perdetevi le specialità locali di pesce ai ristoranti La LamparaDa ThomasS’Andira a Santa Teresa. Mentre l’autentica cucina gallurese è un trionfo di abbondanza e squisitezza all’Agriturismo Gallura da Pieruccio, altro tipico stazzo nella campagna di Trinità d’Agultu: resterete decisamente a bocca aperta di fronte a tutto quello che arriverà in tavola, e per questo vi rimando all’apposito approfondimentoPer me, che amo sperimentare la cucina tradizionale di ogni luogo, è stato sublime!
Tutte le info su:
www.galluraturismo.euwww.ingallura.it

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