5 dicembre 2019 – Girare il mondo seduti a tavola, alla scoperta della cucina multietnica dell’intero globo. E’ l’idea di Philiaz, ristorante interamente dedicato al tema del viaggio che ha appena aperto i battenti a Caldaro (BZ), piccolo comune altoatesino immerso in una delle principali aree vinicole del territorio, ispirandosi niente meno che al celebre Il giro del mondo in 80 giorni di Jules Verne.
A cominciare, infatti, dal nome che evoca quello del protagonista del romanzo Phileas Fogg, per proseguire con le tipicità dei numerosi luoghi da lui visitati, da Bombay a New York, da Londra a Suez, da San Francisco a Hong Kong e via dicendo, le cucine del locale, arrampicato su una collina e affacciato sul lago di Caldaro, sfornano sia piatti esotici à la carte preparati dai resident chefs, come il Philiaz Kebap Persian Art, i Cook Island Tiger Shrimps, i Korean Tacos e diversi variazioni di Dim Sum cantonesi, sia raffinate creazioni di colleghi provenienti, alternativamente, da diversi Paesi del mondo, in una profumata e colorata varietà di proposte che si accompagnano a oltre cento etichette di vini locali ed esteri, e a signature drinks pre e dopo cena – funziona infatti anche come cocktail bar – con ingredienti stagionali, come, al momento, mela, cannella, mandarino e melograno.
Ricordatevi, però, di non andarci con il portafogli pieno: il ristorante non accetta pagamenti in contanti ma solo carte. Provvedete.
di Grazia Garlando
Sapete cos’è uno stazzo? Io l’ho scoperto in Gallura, in quella incantevole Sardegna del nord affacciata sulle Bocche di Bonifacio e sull’Arcipelago della Maddalena, e così vicina alla Corsica che durante le giornate limpide sembra quasi che basti allungare la mano per riuscire a toccarla.
In Gallura, dicevo, lo stazzo era una vera e propria forma di cultura locale tradizionale: una dimora di campagna dotata di animali, orto e vigne per la produzione in loco di tutto il fabbisogno, che ha rappresentato a lungo il più tipico insediamento rurale del territorio. Potevano sorgere isolate, oppure riunite intorno alle chiese campestri per contribuire al sostegno dei bisognosi che vi si rivolgevano. Di vecchi stazzi la Gallura è ancora piena, ma ovviamente adesso la loro destinazione d’uso è cambiata: alcuni sono stati trasformati in eleganti residenze private, altri in B&B o in agriturismi. Ed è proprio in uno di questi, l’Agriturismo Gallura da Pieruccio (foto a lato), immerso nel verde della campagna di Trinità d’Agultu, nell’entroterra delle incantevoli spiagge di granito di Costa Rossa, e a una cinquantina di chilometri a sud della celebre località balneare di Santa Teresa di Gallura, che ho scoperto le meraviglie della cucina gallurese più tradizionale, considerato anche che si tratta di un’azienda agricola produttrice in proprio di tutto quanto arriva in tavola, quindi con materie prime freschissime e una maestria nel cucinarle davvero da Oscar.
Dati dunque praticamente per scontati gli antipasti con ottimi formaggi e salumi locali, le polpettine al sugo con pane carasau, e il porceddu diffuso, però, nell’intera isola, è stato il trionfo dei piatti più tipici della tradizione prettamente locale, primo tra tutti la Zuppa Gallurese o Suppa cuatta (foto apertura), una sorta di lasagna al forno preparata con pane, panedda (una provola a pasta filata a forma di pera), brodo di carne di pecora e una grattugiata di pecorino sardo, a cui hanno fatto seguito i Chiusoni, gnocchi di farina impastati a mano con acqua bollente e conditi con un sugo di pomodoro e salsiccia, e i Ravioli dolci di ricotta conditi con salsa di pomodoro.
Poi è stata la volta delle Panadas, fagottini di pasta violada (una sorta di brisèe fatta con farina di grano duro, strutto, acqua e sale) ripieni di carne o di verdure e cotti in forno per renderli croccanti. Per proseguire con la Mazza frissa, una crema di panna fresca, farina di semola e sale che si mangia come antipasto o come condimento per i chiusoni, ma anche come dolce con l’aggiunta di miele o zucchero, tutto naturalmente annaffiato dagli immancabili Vermentino e Cannonau. E per restare in tema di dessert, accanto a irresistibili Seadas calde formato maxi, una sventagliata di Acciuleddi, treccine di pasta fritte e immerse nel miele, da accompagnare a un bicchierino digestivo di Mirto o del più potente Filu e ferru, la superalcolica acquavite sarda.
Insomma, se passate da queste parti non perdetevi un pranzo o una cena in questo locale così piacevolmente alla mano da farvi respirare aria di casa, e capace di una tavola davvero sublime: fareste un dispetto a voi stessi. Io ve l’ho detto. Agriturismo Gallura da Pieruccio Strada Provinciale 90 km 35, 07038 Trinità d’Agultu e Vignola (SS) Aperto da lunedì a domenica dalle 12.00 alle 14.00 e dalle 20.00 alle 22.00
24dicembre 2012 – Vuole la tradizione che per pranzi e cene di Natale ogni regione proponga ricche tavole fatte di prodotti tipici locali. Ecco allora i consigli di Enoteca Italiana, il più antico Ente nazionale del vino, per le migliori eccellenze enologiche da abbinare alle tante e diverse specialità culinarie, dalle grandi firme a quelle con un ottimo rapporto qualità prezzo.
Il brindisi iniziale è per tutti, indistintamente, con bollicine italiane: uno Spumante “metodo classico” Franciacorta o Trento Doc, oppure quelle dell’Oltrepò Pavese a base di Pinot Nero, ma vanno benissimo anche i tanti spumanti tradizionali “metodo martinotti” con l’alfiere Prosecco.
Passando ai primi piatti, al nord i tortellini in brodo si accompagnano a un bianco fermo, morbido, oppure a una Bonarda o un Lambrusco emiliano, mentre quelli caratterizzati da sughi di carne o cacciagione a un Nebbiolo o Barbera piemontese, al Chianti o igt Toscani, ai siciliani Nero d’Avola e Cerasuolo Vittoria, ai pugliesi Primitivo di Manduria e Negroamaro, fino al Montepulciano d’Abruzzo, l’importante è che siano freschi, giovani e di gradazione media. Mentre i “culurgiones” di Sardegna, ravioli ripieni di patate e pecorino fatti a mano, si sposano con il bianco Nuragus di Cagliari o con il rosso Carignano del Sulcis.
Al sud solitamente il menù intero prevede pesce: si può iniziare con un Vermentino di Lunigiana, Sardegna o Toscana, anche se molto diversi fra loro, oppure con un Fiano di Avellino, una Falanghina campana, un Roero Arneis piemontese, un Verdicchiodi Jesi o un veneto come il Soave Superiore.
Per i secondi piatti, il tradizionale bollito è perfetto con una Barbera vivace o con un Lambrusco, mentre i crostacei con un Traminer aromatico dell’Alto Adige, meglio noto come Gewürztraminer, sostanzioso e opulento, e il pesce bianco cotto al sale o alla griglia con i vini del Friuli Venezia Giulia, come un Friulano del Collio o una Ribolla Gialla; di genere diverso i bianchi siciliani Grillo, Catarratto o Inzolia, e i campani Falanghina, Fiano di Avellino o Greco di Tufo.
In Toscana, con l’arrosto di faraona, anatra, fegatelli e cacciagione, un Chianti Classico Docg, oppure, sulla costa, un Morellino di Scansano o Bolgheri, mentre in Umbria un Torgiano o Sagrantino di Montefalco; gli umidi di cacciagione, come cinghiale, capriolo e lepre, richiedono vini ancora più strutturati e possenti con grado alcolico, e invecchiati: Barolo, Brunello di Montalcino, Amarone della Valpolicella, Vino Nobile di Montepulciano. O addirittura i numerosi vini monovitigno autoctoni: i bianchi Verdeca, Bombino, Pecorino Passerina, Grillo, Izolia, Trebbiano, Traminer, e i rossi Aglianico, Canaiolo, Colorino, Cannonau, Ciliegiolo, Gaglioppo, Fumin, Ruchè. Nel Lazio con il tradizionale capitone un rosso giovane dal gusto secco e sapido, come il ligure Rossese di Dolceacqua, ma anche un Circeo Rosso Doc o un bianco Moscato di Terracina secco; in alternativa, di tutt’altro genere, una Vernaccia di San Gimignano, il primo vino Doc a bacca bianca della storia italiana.
In Calabria, lo “stocco di Cittanova”, pesce con la “ghiotta” (sughetto di olio, cipolla, pomodori, olive, capperi e uvetta), è con un Cirò rosato locale. I grandi e versatili vini Rosati possono essere comunque abbinati con tutto, tanto che esistono nelle tipologie Spumante, Frizzante o Tranquillo, dal gusto fruttato e intenso; la Puglia ne ha tanti, come l’unica doc Rosato d’Italia, Castel del Monte, mentre gli altri sono prodotti con vari vitigni come Negroamaro, Uva di Troia, Montepulciano, Pinot Nero, Raboso, Sangiovese e Aglianico. E per il dessert, con panettone milanese e pandoro veneto un Asti spumante, un Moscato d’Asti o il meno conosciuto Moscadello di Montalcino; con panforte e ricciarelli senesi un autentico Vin Santo toscano, un Marsala siciliano o una Vernaccia liquorosa sarda; con le torte alla crema il Moscato di Pantelleria e di Noto, la Malvasia delle Lipari o lo Sciacchetrà delle Cinque Terre, e con quelle al cacao il veneto Recioto della Valpolicella o il Picolit friulano, perfetto anche con la pasticceria secca. Chicca finale, una tavoletta di cioccolato con Barolo chinato, Aleatico, o Refrontolo passito.
Prosit! E Buon Natale a tutti!